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Semola mon amour! Stavolta tocca al pane.

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A voi pigliano mai le fisse? A me sì! Diciamo pure che sono un tipo da fissa facile, ecco! 😀
Quando ho fatto gli ultimi biscotti (che continuo a produrre settimanalmente), mi sono innamorata della semola. Ha un profumo così inebriante a cui è impossibile resistere e pertanto ho voluto farci anche un pane.
Beh, è stato subito amore! Non appena ho messo le mani nell’impasto, ho capito che sarebbe uscita una cosa fantastica.
Questo è un pane che merita di essere mangiato così, anche senza nulla. Il suo sapore è talmente pieno che non serve manco il companatico!
E voi? Lo avete mai fatto un pane tutta semola? Raccontate, su!
Io, intanto, vi dico come ho fatto questo, prendendo spunto dal libro “Il lievito naturale a pasta acida e le sue preparazioni panarie e dolciarie” di Claudio Antonio Rossi.
Vi anticipo che ci sono molti tempi di attesa, ma il risultato ripagherà su tutti i fronti.
Metterò a fine post anche la mia tabella di marcia, così da avere un’idea su come regolare i vostri tempi ed in più approfondirò con dovizia di particolari la tecnica dell’autolisi, molto spesso usata nella panificazione. Cerchiamo di capire il perché e quali effetti produce su un impasto.

INGREDIENTI
650 g di semola rimacinata di grano duro
480 g di acqua
130 g di pasta madre liquida* pronta all’uso (al raddoppio o poco meno)
13 g di sale
*per chi non possiede il lievito naturale sostituire la pasta madre liquida con 65 g di farina 65 g di acqua e 5 di lievito di birra.

PROCEDIMENTO
Preparare un’autolisi miscelando la farina e l’acqua con una forchetta all’interno di una ciotola, avendo cura che non rimanga farina asciutta. Lasciar riposare per tre ore.
Aggiungere il lievito madre, versare nella ciotola dell’impastatrice munita di gancio a spirale ed avviare a media velocità. Vederete come in pochi minuti l’impasto sarà già bello strutturato ed incordato. Unire il sale, far lavorare ancora qualche minuto per farlo assorbire e poi spegnere la macchina. Lasciare l’impasto nella ciotola ed attendere 30 minuti (tempo in cui il glutine torna a rilassarsi).
Per chi vuole impastare a mano, unire il lievito all’impasto autolitico e procedere con le pieghe in ciotola. Quando l’impasto è incordato, aggiungere il sale, farlo assorbire e procedere come indicato qui di seguito.
Trascorso questo tempo, procedere con la laminazione dell’impasto, capovolgendolo su un piano di lavoro (marmo o acciaio) ed allargarlo delicatamente fino ad ottenere una sfoglia sottile e trasparente (vedere collage in fondo), poi con la stessa tecnica delle pieghe a portafoglio, raccogliere a palla e fare un altro riposo di 30′. Passata la mezz’ora fare una piega a tre e poi altro riposo di 30′.
Ripetere un’ultima piega a tre e poi mettere a lievitare (in un contenitore graduato e leggermente oliato) ad una temperatura di 24°-26° fino a che l’impasto non raggiunge l’80% del suo volume iniziale (se parte da 100 dovrà arrivare a 180).
A questo punto procedere con la formatura e mettere in un cestino ricoperto con un telo (senza odore di detersivo) che lo contenga comodo per la successiva lievitazione. Chiudere in un sacchetto e mettere nella parte più fredda del frigo per 12-14 ore.
Il giorno dopo, accendere il forno a 240° con una pentola e coperchio in ghisa o acciaio all’interno e, quando arrivato a temperatura, STANDO ATTENTI A NON SCOTTARVI, capovolgervi il pane dentro, facendo un taglio longitudinale per favorirne lo sviluppo.
Chiudere la pentola con il coperchio e seguire la seguente tempistica per la cottura:
240° per i primi 20′ con coperchio
220° per 20′ senza coperchio
200° per 20′ e sportello del forno leggermente socchiuso
180° per 20′ sulla griglia del forno senza pentola e forno sempre socchiuso (per garantire crosta bella croccante e mollica non umida).
Quando il pane avrà finito di cuocere, togliere dal forno e poggiarlo in verticale contro una parete fino a completo raffreddamento.
Solo a questo punto, affettare e affondare il morso! :-DDDD


Vi lascio i passaggi per la laminazione dell’impasto e un’indicazione sulle tempistiche che di solito uso per avere il pane pronto sia a pranzo che a cena. 😉
07.00 autolisi
10.00 impasto
10.45 laminazione
11.30 prima piega a tre
12.00 seconda piega a tre
18.00 formatura e riposo notturno in frigo
07.00 cottura

Approfondimenti sull’autolisi

La tecnica dell’autolisi in arte bianca è stata sviluppata dal francese Raymond Calvel, ed è una sorta di pre-impasto che consente sostanzialmente di sfruttare l’autoevoluzione del glutine.
In biologia, con il termne “autolisi” si indica il processo con il quale si innesca l’auto disgregazione delle cellule contenute nella farina; attraverso il processo fermentativo, si demoliscono le proteine, si liberano gli zuccheri e si favorisce la formazione del glutine.

Si sviluppa in tre fasi distinte:
– miscelazione iniziale della farina con una parte o tutta l’acqua;
– riposo dell’impasto autolitico ottenuto;
– impasto finale

La prima fase della preparazione di un impasto autolitico consiste nel miscelare delicatamente la farina e il 55% dell’acqua prevista dalla ricetta.
La seconda fase, ovvero il riposo di questo primo impasto, può durare da 20 minuti fino a 24 ore.
La durata di tale riposo viene stabilita semplicemente in base alle caratteristiche della farina e alle esigenze produttive; in linea generale, quanto più la farina è forte e resistente, tanto più lungo dovrà essere il periodo di riposo. Se questo lasso di tempo è superiore alle 5/6 ore, è consigliabile aggiungere alla miscela di acqua e farina anche una parte del sale e ridurre la quantità di acqua al 45/50%, oltre a far avvenire la successiva conservazione a una temperatura di 18°/20°C; questo per impedire che la fermentazione “viaggi” troppo velocemente. Per tempi di riposo più brevi, l’impasto può invece essere lasciato a temperatura ambiente, anche nella stessa vasca dell’impastatrice.
Trascorso il periodo di autolisi si passa alla terza fase, ovvero all’impasto finale, nel quale vengono aggiunti tutti gli altri ingredienti della ricetta (il lievito, l’acqua rimanente, il sale ed eventualmente gli altri ingredienti previsti).

La tecnica dell’autolisi nasce sostanzialmente per le stesse ragioni della biga (e dei pre-impasti in linea più generica): agevolare l’assorbimento di acqua, lo sviluppo della struttura, i profumi e la shelf-life, oltre a ridurre i tempi di lavorazione finale.

Il grano italiano è sempre stato debole, tenace, poco panificabile e in grado di formare ben poco glutine; si rendevano quindi necessarie pratiche di pre-impasto (come l’autolisi o la biga), utili ad agevolare l’assorbimento, la struttura e quindi la leggerezza del prodotto finito.

Oggi tuttavia, con la grande offerta disponibile sul mercato per quanto riguarda le farine, i pregi di tale metodologia risultano decisamente superflui. Pare infatti inutile ricorrere a pre-impasti e pre-fermenti quando in realtà la materia prima consente di soddisfare alte percentuali di assorbimento senza alcun aiuto; oltretutto, ogni metodo in aggiunta alla tecnica più semplice non fa che aumentare il numero di variabili in gioco, rendendo il processo scarsamente standardizzabile e ripetibile.

I pregi dell’autolisi (se applicata al giusto contesto)
Se utilizzata con rigore e senso logico, grazie a tale tecnica la consistenza dell’impasto diventa particolarmente liscia e malleabile, la formatura risulta più agevole e il prodotto finito presenta volume superiore, migliore alveolatura e maggiore sofficità della mollica.
Tutti questi vantaggi sono il risultato di processi fisici e chimici che hanno luogo durante il riposo della pasta. In questa fase, infatti, l’impasto subisce importanti modifiche, tra cui l’idrolisi (dal greco “hydro”= acqua e “lysis”= sciogliere, l’insieme di diverse reazioni chimiche in cui una molecola viene scissa in due o più parti per inserimento di una molecola di acqua) dei suoi componenti ad opera degli enzimi (in particolare amilasi e proteasi) attivati dall’acqua dell’impasto.
Sotto l’azione degli enzimi amilasi, l’amido si scinde in zuccheri, fornendo così elementi nutritivi ai lieviti contenuti nell’impasto. Di conseguenza, la fermentazione successiva dell’impasto finale sarà agevolata e anche le caratteristiche organolettiche del prodotto finito saranno migliori .

Quando è veramente utile fare affidamento all’autolisi?
È particolarmente utile quando si utilizzano farine molto resistenti, con un P/L elevato (rapporto tra tenacità ed estensibilità, una caratteristica reologica della farina indicata dal molino di appartenenza), o con il grano duro, dotato di un glutine molto “più chiuso” e dall’assorbimento più lento e graduale; in questo caso infatti rende più morbida la maglia glutinica grazie alla proteolisi (scissione delle proteine in peptidi e amminoacidi liberi grazie agli enzimi proteasi).
Fonte: dal web

Direi che per oggi basta così, mi son dilungata fin troppo.
Alla prossima ricetta e buon pane se deciderete di provarlo! 😉
Emmettì

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